Da sempre si è discusso molto in merito al meccanismo d’azione dei medicinali omeopatici.
Ad oggi l’ipotesi più accreditata fa riferimento al fenomeno dell’ormesi, la cui dimostrazione ventennale è riportata su tutti i più moderni libri di farmacologia e secondo la quale l’efficacia di un farmaco dipende qualitativamente e quantitativamente dalla sua concentrazione: quasi sempre si osserva che una sostanza che presenta effetti inibitori ad alte concentrazioni presenta altresì effetti stimolatori a basse concentrazioni, un effetto cioè del tutto opposto.
Sebbene si debba fare ancora piena chiarezza su questo argomento, esistono diverse istituzioni che si occupano di ricerca clinica in ambito non convenzionale, come l’Homeopathy Research Institute dove si possono trovare numerosi riferimenti bibliografici necessari per approfondire la tematica.
Un ulteriore importante segnale è dato dalla World Health Organization (anche nota come OMS, organizzazione Mondiale della Sanità), il cui rapporto intitolato The WHO Traditional Medicine Strategy 2014-2023 (disponibile anche in italiano) e redatto da un team di esperti, sollecita l’integrazione delle medicine complementari nei sistemi sanitari nazionali facilitandone l’accesso a tutti. Le strategie definite in questo documento puntano a supportare gli Stati membri nello sviluppo di politiche fattive e di piani di azione che rafforzino il ruolo delle medicine tradizionali e complementari nel garantire la salute della popolazione. Dunque, è la stessa OMS a riconoscere un ruolo importante alle medicine non convenzionali, tra cui l’Omeopatia, che propongono un diverso approccio alla malattia e alla persona.
Non è sicuramente una novità, visto che l’OMS ha dato da tempo segnali di apertura nei confronti delle medicine tradizionali e non convenzionali, ma si tratta di un ulteriore tentativo di integrare sempre di più tali approcci con la medicina convenzionale per cercare di curare la persona nella sua globalità e come individuo.
L’Omeopatia, infatti, prevede una prescrizione terapeutica individualizzata, pensata cioè per il singolo: ogni prescrizione è differente per tempi, modi e diluizioni.
Scopriamo insieme qualcosa in più su questa metodica terapeutica e sui vantaggi che derivano dall’utilizzo di medicinali omeopatici.
Il cosiddetto effetto placebo, ovvero una guarigione o un miglioramento determinato da un condizionamento psicologico del paziente, è sempre presente nel processo di guarigione indipendentemente dal fatto che sia stato assunto un farmaco allopatico o un medicinale omeopatico.
Una banale prova di questo? Sarà accaduto a tutti che a volte, anche solo il colloquio con un medico di fiducia, abbia determinato miglioramenti anche significativi.
Sebbene allo stato attuale non sia ancora chiaramente delineato il meccanismo di azione del medicinale omeopatico, l’efficacia delle cure omeopatiche è comprovata da evidenze e studi clinici anche nei lattanti e negli animali, entrambi difficilmente condizionabili da un punto di vista psicologico.
La scelta di iniziare un tipo di cura con medicinali omeopatici porta con sé diversi vantaggi, vediamo di seguito i principali:
Quando si inizia una terapia omeopatica può succedere che si verifichi un iniziale aggravamento dei sintomi.
Esso è la misura concreta di quanto la cura stia agendo correttamente e stia mettendo in atto la sua azione terapeutica. L’aggravamento omeopatico quindi consiste in un’esaltazione temporanea dei sintomi da curare, che si manifesta nella prima fase della terapia ed è di tipo terapeutico, nel senso che sta ad indicare l’inizio di un percorso terapeutico favorevole. L’aggravamento omeopatico è un condizione che non si verifica frequentemente e, ad ogni modo, è assolutamente transitoria.
Generalmente tale aggravamento temporaneo nelle malattie acute si manifesta quasi subito e dura poche ore, mentre nelle malattie croniche si manifesta più o meno tardivamente e dura qualche giorno. La situazione relativa al suo presentarsi, alla sua durata ed alla sua entità è però piuttosto articolata.
Tutto è strettamente legato, in misura proporzionale, a diversi fattori individuali (come sempre in campo omeopatico), quali ad esempio:
Nel caso in cui l’aggravamento sia particolarmente spiacevole per il paziente, ma ancora sopportabile, si potranno momentaneamente allungare i tempi delle somministrazioni. L’aggravamento omeopatico è sempre autolimitante e non va confuso con un aggravamento persistente segno di una malattia in progressione.
La mancata comparsa dell’aggravamento omeopatico, inoltre, non significa che la cura prescritta non sia ugualmente efficace.
Come sempre, però, in caso di dubbi è sempre necessario rivolgersi al proprio medico.
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