L’Atropa belladonna è una pianta erbacea perenne appartenente alle Solanaceae.
Si tratta di un’importante famiglia di Angiosperme dicotiledoni, che comprende specie velenose, come la Belladonna, ma anche molte commestibili, tra cui alcune essenziali per la nostra alimentazione come le patate, le melanzane, i pomodori, i peperoni e i peperoncini.
La pianta di Atropa belladonna è caratterizzata da un grande rizoma e dotata di un fusto robusto, eretto e ramificato, con un’altezza compresa tra i 70 e i 150 cm.
Le foglie, lunghe fino a 15 cm, sono semplici, picciolate e dalla forma ovale-lanceolata.
I fiori, che appaiono nel periodo estivo, sono piccoli e penduli. Hanno forma di calice e un colore violaceo. Una leggera peluria ricopre sia il fusto sia le foglie ed è responsabile dell’odore sgradevole della pianta.
Il frutto è una bacca nera lucida con molti semi, contornata da un calice a stella, che per le dimensioni e l’apparenza potrebbe essere confusa con i più comuni frutti del sottobosco. Nonostante l’aspetto e il sapore invitante, le bacche di Belladonna non sono commestibili e la loro ingestione è nociva.
Nel corso della storia la pianta, detta per esempio “solano mortale”, è stata apostrofata con molti nomi di origine popolare, che rimandavano proprio alle sue proprietà tossiche e in particolare a quelle delle sue bacche, note come “ciliegie del diavolo”, “bacche dello stregone” o “bacche delle streghe”.
La pericolosità della pianta è evocata nella sua stessa denominazione scientifica.
È stata, infatti, chiamata Atropa con un chiaro riferimento a una delle Parche della mitologia greca a cui era affidato il compito di recidere il filo della vita. Le Parche rappresentavano la personificazione del fato ed erano tre: Cloto, che filava lo stame della vita, Lachesi, che lo avvolgeva sul fuso e stabiliva quanto filo spettasse a ogni uomo e infine Atropo, che con delle cesoie lucenti lo tagliava determinando la fine dell’esistenza umana.
Il nome comune Belladonna deriva, invece, dall’uso cosmetico che facevano della pianta le donne del Rinascimento, in particolare nella Venezia del 1500. Le dame dell’epoca sfruttavano, infatti, il succo delle bacche per migliorare il colorito del viso e dilatare le pupille – grazie all’atropina contenuta, isolata come principio attivo solo più avanti, nel 1800 – al fine di rendere lo sguardo più luminoso e seducente.
La Belladonna è coltivata in tutto il mondo e prospera, in particolare, nei terreni calcarei.
Cresce sporadica, fino a un’altitudine di 1400 metri, nelle zone montane e submontane:
In Italia la si può trovare nei boschi:
La pianta di Atropa belladonna contiene alcaloidi a nucleo tropanico, tra cui i principali sono:
L’atropina agisce sul Sistema Nervoso Parasimpatico e ha un’azione eccitante e allucinatoria.
La scopolamina interviene sul Sistema Nervoso Centrale (SNC) e ha un’azione depressiva e ipnotica.
Dall’analisi dei principi attivi, risulta che la pianta è in grado di influenzare in varia misura tutti gli organi e i sistemi le cui funzioni si trovano sotto il controllo del Sistema Nervoso Parasimpatico.
La Belladonna viene utilizzata dalla medicina tradizionale in campo oculistico, per dilatare le pupille allo scopo di osservare il fondo oculare e come miorilassante, sfruttando le sue proprietà sedative ed anestetiche, ad esempio prima di effettuare interventi chirurgici.
In fitoterapia viene tradizionalmente usata come rimedio per gli spasmi muscolari.
La Belladonna trova ampio uso in Omeopatia per la sua capacità di agire su:
Viene utilizzata, in particolare, per curare i fenomeni congestizi acuti e iperacuti, indipendentemente dalla localizzazione, soprattutto quando il manifestarsi del disturbo è caratterizzato da:
L’Atropa belladonna è usata, tuttavia, anche in caso di patologie croniche, nei pazienti che presentano sintomi:
I medicinali omeopatici a base di Belladonna vengono utilizzati, in ragione del principio di similitudine dei sintomi (similia similibus curantur), principalmente quando si manifestano i seguenti disturbi:
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